La globalizzazioe culinaria è un fenomeno in continua ascesa e derivante dal macro-fenomeno della globalizzazione. Una delle conseguenze culturali della globalizzazione è la glocalizzazione, processo per cui gli attori globali e quelli locali interagiscono, influenzandosi a vicenda. La globalizzazione culinaria, è un processo, che tenta di cancellare con un colpo di spugna secoli di cultura alimentare, di togliere, più di quanto aggiunga. Finora non ha rappresentato un arricchimento, ma un impoverimento dell’alimentazione, o meglio un appiattimento, più che una diversificazione, e perciò va ostacolato anche in nome del diritto alla biodiversità e pluralità alimentare. Un fenomeno di proporzione incontrollabile come quella dell’emigrazione dei popoli in un pianeta divenuto, per la velocizzazione in ogni campo, “un villaggio globale”. Nei primi tempi, infatti, la gente, nel tentativo di conservare la propria identità e per nostalgia del proprio paese, porta con sé il proprio cibo, in quanto, l’integrazione avviene concretamente anche quando si accoglie il cibo e le abitudini alimentari con tutto l’insieme di riti e simboli legati alla nuova terra. Le varianti possono arricchire cibi e pietanze. A lungo termine, il pericolo connesso all’evoluzione socio-alimentare è costituito da possibili spersonalizzazioni di piatti totemici, o anche ad accaparramenti da parte di altri territori per dubbie ragioni di profitto per quanto riguarda, in modo particolare, olio, vino e formaggi. Ad esempio, nella memoria collettiva esistono espressioni, come “questo lo mangiamo da sempre”, un modo di dire veritiero per alcuni piatti, ma per altri come il pollo ruspante alla cacciatora, o ragù cotto con sugna e mammelle di mucca, o sanguinaccio con il sangue di maiale, per altro vietato per motivi sanitari. Oggi i giovani non gradiscono tali cibi e alla sola pronuncia del nome provano un senso di repulsione, mentre gli anziani che li hanno gustati, hanno nostalgia di tali pietanze. L’oggetto è cambiato (i prodotti non sono più quelli di mille anni fa, anche se portano lo stesso nome) e, quel che più importa, è cambiato il soggetto: i consumatori non sono più gli stessi e la loro educazione sensoriale è enormemente diversa.