Tutti vogliono l’Italian food, ma comprano soprattutto Italian sounding, un fenomeno, che nel comparto agroalimentare, vede l’utilizzo di nomi italiani per pubblicizzare prodotti non italiani. Può trattarsi di un nome simile a quello del prodotto “originario” (ad esempio il Parmesan), dell’utilizzo nell’etichetta e nel packaging dell’uso del tricolore che richiama esplicitamente l’Italia oppure il landscape del golfo di Napoli e del Vesuvio.
La dicitura “Made in Italy” è diventata negli anni, un vero e proprio marchio o brand. In campo agroalimentare, essa si basa sulla qualità degli alimenti, quindi bontà e genuinità, rappresentando una garanzia di sicurezza, salubrità ed origine.
I prodotti alimentari di qualità Made in Italy, sono i più imitati e contraffatti al mondo, con un giro d’affari di 56 miliardi di euro l’anno, infatti, all’estero solo un prodotto su quattro è autenticamente tricolore. A cominciare dalla pizza, in alcuni punti di ristorazione all’estero, si utilizzano per lo più ingredienti che non sono ottenuti sul territorio italiano: viene pubblicizzata come “vera pizza italiana”, una pizza che però è realizzata con pomodoro di provenienza cinese, mozzarella prodotta negli Stati Uniti, farina canadese ed olio proveniente dalla Spagna, per risparmiare sul costo e sull’approvvigionamento degli ingredienti stessi.
Dati di Federalimentare mostrano come l’Italian sounding è un fenomeno mondiale di grande rilevanza: negli Usa e in Canada circa il 97% dei sughi per pasta è composto da imitazioni, così come sono falsi il 94% delle conserve sott’olio e sott’aceto e il 76% dei pomodori in scatola.
Ciò sottolinea che la nostra gastronomia ha conquistato il mondo con i suoi cibi simbolo. Questi prodotti sono merce rara e preziosa, prodotta da artisti ed artigiani del cibo, ossia non prodotta in serie; si tratta di alimenti caratteristici di determinate aree, alcuni dei quali sono assurti a status symbol.