Sebbene la carne ittica rappresenti un alimento importante, tra tutti quelli che costituiscono la dieta mediterranea, il suo consumo non è sempre strettamente legato al processo di cottura.
Complici, infatti, da una parte, le modalità di preparazione quali, ad esempio, il carpaccio e la tartare, e, dall’altra, la diffusione della cultura alimentare giapponese, il pesce molto spesso viene consumato crudo.
Il consumo della carne ittica allo stato crudo può comportare l’insorgenza di alcune patologie, tra cui: le parassitosi, dovute al consumo di alimenti contaminati da organismi patogeni, quali protozoi, larve ed amebe; le infezioni, collegate all’assunzione di alimenti contaminati da microorganismi patogeni, quali batteri o virus; le intossicazioni, conseguenze di alimenti contaminati solo dalle alghe o dalle tossine batteriche; le tossinfezioni, dovute all’assunzione di alimenti sia contaminati sia da batteri patogeni, sia dalle rispettive tossine.
Tra tutte le patologie sopra elencate, tuttavia, quella più diffusa è la parassitosi, in special modo quella intestinale da anisakis, ossia dovuta ad un insieme di specie di parassiti che popolano abitualmente le viscere dei pesci , dei molluschi e dei mammiferi marini. Una volta morti gli organismi “ospitanti”, questi parassiti dilagano in ogni parte dei suddetti organismi, contaminandolo.
Nel 1997, per far fronte a questo tipo di problemi, è stata resa obbligatoria, al fine del commercio, la prassi di “abbattimento termico” del pesce, il quale deve stare almeno per 24 ore ad una temperatura di -20°C.
In conclusione, si può evincere che il pesce crudo è possibile mangiarlo senza correre rischi, se si ha la certezza che ci lo vende ha eseguito i giusti controlli a riguardo, come, ad esempio, l’eviscerazione immediata dopo la cattura del pesce o l’abbattimento dello stesso.