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  • La celiachia e la ricerca: “molte luci e poche ombre”

    La celiachia è un’intolleranza permanente alla gliadina. La gliadina è la componente alcool-solubile del glutine, un insieme di proteine contenute nel frumento, nell’orzo, nella segale, nel farro, nel kamut.

    L’avena sembra essere tollerata in piccole quantità dalla maggior parte dei soggetti affetti. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia. Sebbene la malattia non abbia una trasmissione genetica mendeliana, è comunque caratterizzata da un certo grado di familiarità.

    Samuel Gee diede la prima descrizione moderna di celiachia nella lettura tenuta a Londra nel 1887, pubblicata sui Resoconti del St. Bartholomew Hospital nel 1888:“malattia digestiva cronica che colpisce persone di tutte le età, ma soprattutto bambini da uno a 5 anni”.

    Nel 1950 W. Dicke scoprì che il glutine era l’agente scatenante della celiachia, partendo dall’osservazione della riduzione dei disturbi nei celiaci nel corso della seconda guerra mondiale e la successiva  ripresa della sintomatologia dopo il piano ausiliare svedese che forniva farina di grano agli olandesi. Alla fine degli anni ‘50 fu introdotta la biopsia intestinale con capsula di Crosby, l’esame che consentì le prime diagnosi certe di malattia celiaca. In attesa del vaccino e della “pillola anti-zonulina” (tempi ancora lunghi) la Dieta senza Glutine rimane oggi  l’unica terapia per la celiachia con “molte luci” e “poche ombre”.

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